Lars von Trier non è il
sesso. Se Lars von Trier, tacciato di misoginia e crocifisso per
questo, finisce infine per girare un film che inneggi alla donna come
alla vita, ciò è indice del fatto che Lars von Trier, in
Nymph()maniac, di fatto abolisca il sesso: lo annulla, lo
toglie proprio di mezzo. Così, se in Nymph()maniac vol. I
(Danimarca, 2013, 145') il sesso era surrettiziamente presente, lo
era per essere tolto di mezzo, poiché, molto banalmente, non si può
togliere ciò che non c'è. Ma perché Lars von Trier abolisce il
sesso? Di fatto, per abolire il genere. Genere e sesso, infatti, si
implicano a vicenda, e la mossa di von Trier è intelligentessima:
Lars von Trier non cessa di rappresentare il sesso, semplicemente lo
priva di quella carnalità che lo connota essenzialmente e, di
seguito, lo teorizza. Teorizza la carne, in Nymph()maniac
vol. II
(Danimarca, 2013, 123'). Nient'altro, certo, ma è un'operazione che
richiede disciplina e, soprattutto, buone intenzioni, perché laddove
il piano di movimento, da carnale che era, diventa squisitamente
teoretico, lo spettatore si ritrova spaesato e la teoresi rischia di
risultare troppo metafisica, quindi svuotata di tutta quella carica
eversiva che, invece, Lars von Trier medita e introduce, facendone
addirittura perno dell'intero lungometraggio. E il punto è: per
quanto il sesso sia pervasivo nella società, lo è sempre e comunque
in maniera socialmente accettata e, poiché la società occidentale è
fondamentalmente borghese, il sesso dovrà presentarsi, sì,
pervasivamente ma, pure e soprattutto, innocentemente, innocuamente
così da mostrare la pervasività del potere borghese che nasconde
manifestando («Cari
tutti, non dico che sia stato facile, ma ora ho capito che non siamo
– e non saremo mai – simili. Io non sono come voi, che scopate
per avere conferme e potete benissimo rinunciare a mettere dei cazzi
dentro di voi. Io non sono come voi. Quello che volete voi è di
essere riempite, e non importa se da un uomo o da tonnellate di
disgustosi cazzi mosci: non fa alcuna differenza. E io non sono per
niente come voi. L'empatia di cui parlate è una bugia, perché tutti
voi fate parte della polizia morale della società, il cui compito è
di cancellare la mia oscenità dalla faccia della terra in modo che
la borghesia non si senta offesa. Non sono come voi: io sono una
ninfomane e amo ciò che sono, ma soprattutto amo la mia fica e la
mia sporca, lurida lussuria»).
Dev'essere eterosessuale, il sesso, e deve anche predisporsi su una
base affettiva non indifferente, meglio se inframatrimoniale. Forme
quali la ninfomania, il lesbismo, il sadomasochismo e quant'altro
sono bandite, e lo sono nella misura in cui risultano estranee alla
logica di potere propria della borghesia. La mossa di von Trier è
intelligente e delicata, e la si potrebbe riassumere come segue:
teorizzare il sesso per criticare il potere. Dopotutto, ciò non è
molto distante da ciò che ha tentato di fare l'ultimo Foucault con
l'incompiuta Storia
della sessualità,
e anzi le si avvicina paurosamente. Ma c'è di più, perché il
discorso di von Trier è ancora più profondo, fino al punto – per
intenderci – di toccare il cinema stesso, com'è visto e com'è
vissuto, com'è criticato; non è un caso, infatti, se già dalle
prime battute di questo secondo volume, il regista danese ci tenga a
precisare il ruolo dello spettatore, contrapponendolo per certi versi
al cinema: il dialogo tra Seligman e Joe dev'essere letto così,
perché solo così risalta all'occhio l'identificazione dello
spettatore con l'ascoltatore, Seligman, la cui stasi nell'ottica del
racconto è diamentralmente opposta a ciò che incarna Joe, ossia il
cinema in quanto movimento (movimento catalizzato dallo spettatore,
certo, ma non necessitante dello spettatore per essere). La critica
alla borghesia si fa allora critica al cinema, e i due elementi sono
perfettamente sovrapponibili. Del resto, i paralleli con Antichrist
(Danimarca, 2009, 104') – palesi e facilmente identificabili
nell'uomo che raccoglie-abbraccia la donna mentre questa usa violenza
su se stessa, nella citazione a quel Rublëv di cui Tarkovskij,
regista a cui Antichrist
è dedicato, raccontò la vita, nel ricalco (però amputato) del
prologo di Antichrist
eccetera – riportano alla mente quelle accuse di misoginia di cui
von Trier, ora, vuole liberarsi inchiodando la critica alle sue
stesse critiche prima in modo logico (il discorso sulla parola
«negro») e, successivamente (per esempio nel corso della
riflessione, politicamente metacinematografica, secondo la quale, se
la storia raccontata in Nymph()maniac
avesse riguardato un uomo, la storia stessa non avrebbe suscitato
nessun scalpore – riflessione che, appunto, palesa la
sovrapponibilità della critica alla società borghese e della
critica alla critica cinematografica), schiantandola radicalmente:
non c'è misoginia perché mancano prospettive di genere, e mancano
prospettive di genere perché manca il sesso: è l'anarchia di Idioti
(Danimarca, 1998, 117') che ritorna, che brucia la logica borghese e
si fa macchina, si produttrice di un proprio senso e di una propria
sensibilità, sempre etici e mai morali. L'eversione non è fine a se
stessa, è liberatoria e libertaria, oltre che libertina, e quel
meraviglioso fotogramma che suggerisce le ambientazioni di
Melancholia
(Danimarca, 2011, 136') e che, evocando una sorta di rottura con quel
cinema accomodante col quale von Trier sin dal primo suo manifesto
cinematografico vuole rompere, mostra Joe bruciare un'automobile
altro non vuol mostrare che ques'ecpirosi rigenerante, purificatrice,
rinnovatrice: in una parola, rivoluzionaria. Insomma, si sfiora il
capolavoro, con Nymp()maniac
e, forse, capolavoro già lo è, ma bisogna attendere l'uncut per
poterlo effettivamente ammettere. Per ora non resta che rimanere
esterrefatti di fronte alla caparbietà con cui von Trier, attraverso
una tecnica di ripresa che quasi ricerca l'errore estetico per farne
cifra stilistica, fa entrare lo spettatore nella vita dei personaggi
che, in ogni film, non fanno altro che procedere verso un percorso di
liberazione (v. Dancer in the dark
(Danimarca, 2000, 140'), per esempio), percorso di cui, di
conseguenza, fan parte gli stessi spettatori, ai quali il danese non
fa che offrire una prospettiva o un orizzonte pregni di speranza,
poiché, di fatto, Lars von Trier è il sesso e non lo
è, è sessuale senza essere il sesso: è il cinema, in tutta la sua
più profonda sessualità.
Nymphomaniac vol. II
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Questo volume II deve averti colpito molto, fino quasi a cancellare la critica velata che facevi al Volume I. Certo, bisognerà aspettare la versione integrale, ma mi rinfranca sentirti dire: "forse, capolavoro già lo è... Lars von Trier è il sesso e non lo è, è sessuale senza essere il sesso: è il cinema, in tutta la sua più profonda sessualità".
RispondiEliminaA questo punto, non so più se aspetterò il dvd integrale, mi è venuta voglia di vedere questa versione.
Ha una carica eversiva pazzesca!! Inoltre proprio in questi giorni ho iniziato a leggiucchiare la Butler e la Preciado e, insomma, tutto il discorso sul sesso che si fa critica sociale (discorso parecchio foucaultiano, appunto) ha iniziato a intereressarmi - inaspettatamente - parecchio. Non so se ti piacerà, ma di sicuro qualcosa di smuoverà qualcosa. Fammi sapere, se decidi di vederlo!
EliminaCazzo Yorick... hai scritto esattamente ciò che penso di questo film! Von Trier sembra voler prendere tutte le accuse che gli sono state fatte fin qui (a partire dal misoginismo) e ribaltarle completamente. Ed il bello è che sembra davvero sincero. Già si era visto con Melancholia che lui non è contro le donne, lui è i personaggi femminili dei suoi film. Qui criticando la società, crea un elogio della femminilità. Un'apologia forse. La scena del "pedofilo" è una delle più belle che mi sia capitato di vedere di recente. Prende un tema scabroso, criticato a prescindere, condannato dalla società senza se e senza ma e ce lo fa vedere sotto un'altra ottica (la giusta ottica)... Il monologo di Joe al gruppo di terapia che giustamente hai citato è uno degli apici del film. Davvero faccio fatica a capire come si può giudicare "una merda" un film del genere. O non ci capiamo niente noi o forse la gente non davvero un minimo di sensibilità.
RispondiEliminatra l'altro mi sembra si inserisca benissimo nella filmografia del regista. Un altro passo deciso nel suo percorso di condanna alla società borghese. Sta andando avanti imperterrito Von trier e vista la giovane età non c'è da aspettarsi altro che nuovi capolavori dal futuro. Questo, anche per me, forse lo è già.
Lars von Trier è uno stronzo. Purtroppo la gente lo vede così e, soprattutto, vede i suoi film con questo pensiero fisso. Credo lo critichi per questo. Anzi, di più: ti è capitato di leggere recensioni ben fondate che criticassero il film? Io no. Le uniche che lo criticano criticano von Trier e non parlano del film, e anzi ci vanno giù dure anche con i loro fan. Poveracci... Comunque, questo film è un'ode. Sì, una critica e quant'altro, ma dall'inizio alla fine si respira un'aria di libertà e di liberazione come raramente capita nel cinema che finisce nei grandi circuiti. Grande Lars, incontrovertibilmente.
EliminaMah senti... per ora più che altro ho letto titoli o post su facebook...la tua è la prima recensione che leggo sul serio. Comunque quell'aria di libertà e di liberazione l'ho respirata anch'io... specialmente nel volume II. Ci sono frasi che ti fanno venire voglia di alzarti in piedi ed applaudire. E la cosa "buffa" è che alla fine Von Trier non appare come uno stronzo, ma come un regista dotato di un'umanità e di una sensibilità incredibile. chi non riesce a vederlo, significa che si ferma alla facciata, alla superficie... Per dirla in parole povere, Von trier non è cattivo, è il mondo cattivo... Von Trier ha soltanto la "colpa" di sbatterti in faccia questa cattiveria. E' lì che ti dice "apri gli occhi, guarda le cose a 360°"...quando invece è più comodo guardarle senza stare troppo a pensare. Ripeto, per me la scena del "pedofilo" e la successiva riflessione di Joe sono esemplari. Mamma mia quanta emozione!
RispondiEliminaSei stato fortunato a non imbatterti in recensioni e a esserti fermato ai commenti in Facebook. Hai evitato un ictus, poco ma sicuro. Sul resto, non posso che concordare appieno.
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